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Aeroporto: come ci imbarchiamo

attesa aeroporto

Nei trasferimenti di lavoro le attese all’aeroporto sono momenti di riflessione, delle pause che, avendo la fortuna di accaparrarsi un posto a sedere con un po’ di batteria sul laptop, a proposito se non lo sapete si chiama così proprio perché semplicemente ve lo appoggiate sulle ginocchia, possono divenire molto preziose.

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In questi lassi di tempo mi piace guardarmi intorno, vedere quello che succede. C’è la signora con la bimba in braccio nella fascia mei tai, quello che si mette in fila due ore prima dell’imbarco già tutto sudato, i consueti venditori di transfer a destinazione che consuetamente non compra quasi nessuno, quelli nervosi che non mangiano, quelli nervosi che mangiano, quelli a cui scappa la pipì, perché in volo non gli riesce, quelli che parlano al telefono, non si sa con chi ma parlano un sacco. Una bimba prende il latte dal biberon sulle ginocchia del papà, dolcissima, forse sperano di addormentarla, c’è quello che accenna a un pisolino, la moglie l’ha svegliato all’alba perché “oggi si parte”. Ci sono quelli già in fila e quelli che se ne fregano e restano seduti, chissà se quando si alzeranno protesteranno dicendo “c’ero prima io”. C’è la fila del priority, quelli del priority sono di due tipi, quelli che di priority non hanno nulla e quasi si vergognano a passare davanti agli altri, e quelli che si sentono molto priority, anche se esibire questa qualità volando con una compagnia low cost é come mettere l’adesivo abarth sulla punto.

Qualcuno, panino mezzo dentro e mezzo fuori dal celofane, mangia per non soffrire il mal d’aereo, o forse se né dimenticato ed a bordo rimpiangerà la scelta. Arrivano altri dalle scale, si quella mobile non funziona, sarà più di un anno, e ci mettono un buon quarto d’ora a capire dove inizia e dove finisce la fila, anche perché a dir la verità la destinazione sul display del gate ancora non ci sta. In ogni caso regna la confusione, la fila non é una fila, il concetto di fila all’italiana é qualcosa di confuso, uno la pensa a raggiera, uno a cerchio, uno a ventaglio, un altro ancora a file parallele, sarà origine di discussioni poi mi sa. Piano piano il rumore cresce, il timido brusio iniziale diviene un chiacchiericcio in diverse lingue, non se ne distingue una sovrastante, sembra un mercato ma é solo una sala d’attesa, l’uso degli auricolari aumenta il disagio a capire se uno ti sta parlando o sta semplicemente cantando la sua canzone preferita.

Il nervosismo sale quando appaiono gli addetti al gate, arrivano con il loro solito sorrisino, manca ancora mezzora all’imbarco ma buona parte dei passeggeri ha già il biglietto in mano. I bambini scalpitano, hanno ragione, sono stufi, attendere non é cosa da bambini. Quelli del bagaglio a mano sono in ansia, entrerà o meno in quello sciocco totem di acciaio con l’insegna della compagnia ?

La fantasia dei genitori é quasi terminata e dopo i saltini sulle ginocchia, le canzoncine, il telefono per giocare, non sanno più che fare… i piccolissimi danno segni di stanchezza ed hanno ragione, ci sono quelli che corrono, quelli che passano dove non devono passare, quelli che piangono, c’è pure quello che impara a camminare con le manine sul manico del trolley, che carino!

La pausa porta riflessione, mi chiedo, perché low cost deve essere sinonimo di file, noia stanchezza, perché non ce ne stiamo tutti seduti e ci mettono a disposizione un numerino da fila al banco salumi della coop, quando é il momento, ci alziamo, ci mettiamo in fila, contare sappiamo, e andiamo a bordo in ordine, senza proteste, magari sorridendo. Ai bambini gli facciamo un angolino dove possono giocare, due libretti, qualche giochetto, quando é il momento passano prima degli altri, tanto noi siamo seduti, c’è posto per tutti. Chiudo gli occhi, li riapro, é tutto come prima, c’è solo più gente, più rumore, più fila, assolutamente disordinata come se non più di prima, per fortuna aprono la porta, c’è l’imbarco, il gregge esce e si dirige all’aeroplano, l’imbarco vero, buon volo.

di bambiniconlavaligia.it

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