Una giornata a Trieste, la mia città.
Benvenuti nell’estremo nord est dell’Italia, benvenuti in quella piccola appendice della penisola che confina con la Slovenia e guarda il Mare Adriatico, benvenuti a Trieste.
E’ primo mattino e sono fortunata, soffia quello che chiamano borino da queste parti, è il fratello minore della Bora, il vento impetuoso che arriva da est nord-est e spazza abitualmente la città con i suoi 100 e passa chilometri all’ora. Ma questo é poco più di una brezza, quel che serve per spingere a gran velocità le vele dei windsurf sulla riviera di Barcola, già, a quest’ora c’è pure qualcuno che osa scendere in acqua, a me é sufficiente per godere dell’azzurro intenso del cielo che si contrappone alle colline che fanno da anfiteatro alla città.
Trieste comincia a muoversi, e così faccio io. Scendo lungo il Viale XX Settembre, i vecchi lo chiamano in dialetto “Aquedoto”, qui passava un torrente un tempo, qui si prendeva l’acqua, ecco il perché del nome. Ci sono i bar con i tavolini all’aperto, c’è una fontana con due grandi mascheroni d’argento, c’è la gente di Trieste.
Oltrepasso la Via Carducci, la strada più larga della città, separa il Borgo Franceschino dal Borgo Teresiano, i nomi sono dovuti ai diversi imperatori d’Austria sotto il cui dominio é avvenuto lo sviluppo urbanistico della città. Sulla destra c’è “la luminosa”, qui i ragazzi si trovavano per decidere dove andare al cinema negli anni 80, i primi jeans stracciati sul Ciao truccato, ricordi, oggi rimane solo qualche locandina delle poche sale rimaste dopo l’avvento delle nuove tecnologie.
Cominciare una giornata a Trieste con un buon caffè é il modo migliore di capire qualcosa della città, qui lo si commercia da centinaia di anni e la tradizione nella preparazione di questa bevanda calda é storia di per se stessa. Mi siedo ed ordino un “capo in b”, é praticamente un piccolo cappuccino in bicchiere di vetro, nelle giornate invernali più fredde era un buon sistema per scaldarsi le mani, qualcuno dice pure che il bicchierino é un po’ più grande della tazzina, ed il bar Illy di Via delle Torri é il luogo perfetto dove assaggiarlo.
Mi addentro tra le strade pedonali del borgo, una città nella città, i palazzi in stile neoclassico si alternano in uno schema a scacchiera con al centro il Canal Grande. E’ proprio su questo specchio d’acqua che si gusta lo scenario migliore, la chiesa di Sant Antonio Nuovo con l’alto colonnato e quella Serbo Ortodossa con i mosaici dorati poco in disparte. Si perché Trieste é sempre stata un crocevia di culture, religioni, lingue. Qui non é difficile sentire parlare italiano, sloveno, croato, serbo o greco, questa città di mare é sempre stato un crocevia della mitteleuropa, contrapposizioni e condivisioni.
Scendo verso il mare, incontro la Piazza Ponterosso sulla sinistra, c’è il mercato delle “venderigole” (un tempo le signore di campagna che scendevano in città a vendere frutta e verdura), il ponte girevole rosso non c’è più ma é rimasto il nome, c’è la statua in metallo di Joyce (scrittore irlandese triestino d’adozione), i turisti lo abbracciano per uno scatto culturale, c’è il ponte “curto”,
così detto perché durante la sua recente costruzione pare mancasse qualche centimetro per raggiungere la sponda opposta. Sfilo il palazzo Gopcevich con la sua facciata a disegno geometrico che si specchia nelle acque del canale quasi fosse un disegno di Escher, ed arrivo finalmente al mare, quasi davanti al Molo Audace dove nel 1918 sbarcarono a Trieste le prime truppe italiane, portando il tricolore nella città davanti ad una folla festante. Il molo é meta delle passeggiate domenicali dei triestini, sulla punta si gode di una piacevole vista della città e di tutti i palazzi fronte mare. Merita uno stop.
Due passi sul lungomare ed eccomi al Porto Vecchio, se ne sta qui dormiente in attesa che qualcuno un giorno si decida a trasformarlo in qualcosa. Stare qui è come fare un salto indietro nel tempo, ci sono gli alti edifici affacciati sulle banchine del porto, i ballatoi con le colonne in ghisa dove qualche carrucola sporge ancora dalle facciate a ricordare quando i carichi si sollevavano con la forza delle braccia, le gru arrugginite, le rotaie del treno incassate tra le pietre della pavimentazione, i carretti in legno, sembra un luogo sospeso nel tempo, irreale, quasi qualcuno avesse premuto il “pause” sul nastro del tempo.
Mi sposto verso la Piazza dell’Unità, simbolo del ritorno alla madre patria é la più grande Piazza in Europa direttamente affacciata sul mare, in effetti il suo spettacolo lo fa, passo davanti all’hotel Duchi d’Aosta, storico albergo sul salotto buono della città, ed il municipio con in cima Mikeze e Yakeze, personaggi di bronzo pronti a battere le ore. Passo la Piazza della Borsa dove mi soffermo davanti alla facciata di uno splendido edificio in stile liberty, mi addentro quindi attraverso uno stretto e buio passaggio (la Portizza) che mi conduce alla parte più vecchia del centro, quella di impianto medioevale e costruita sulle pendici del colle di Giusto.
Le stradine sono costellate di piccole botteghe, librai, robivecchi, qualche artigiano, non resisto ad assaggiare una pallina di gelato al cioccolato fondente da Marco, un capolinea per i buongustai locali, do un’occhiata al Teatro Romano proprio di fronte al Palazzo della Questura, chiaro esempio di architettura del ventennio, e proseguo verso la Via di Cavana da dove inizio la salita verso il castello.
La città vecchia é un susseguirsi di armonie, tra piccole stradine pavimentate in pietra gli edifici si addossano gli uni agli altri, tra piccoli cortili e finestrelle fiorate é una sinfonia di colori e di materiali, il classico centro storico italiano contrapposto al borgo precedente di chiara impostazione austriaca. Sono queste differenze che rendono così particolare Trieste, passaggi tra culture diverse, un viaggio nel viaggio.
Arrivo in cima, c’è la cattedrale di stile gotico romanico con il grande rosone in pietra carsica, per realizzarlo al tempo arrivarono gli scalpellini da Soncino, vicino Sondrio, in un rione della città c’è ancora una via a loro dedicata, c’è il “campanon” che da i suoi rintocchi nel tozzo campanile, ai lati dell’ingresso sei bassorilievi su pietra, sono membri di una famiglia romana la cui lapide é stata tagliata a metà ed utilizzata come stipiti, il riciclo funzionava già nel medioevo, peccato che abbiano così poco simpaticamente diviso le mogli dai mariti… All’interno da vedere il tesoro e l’alabarda di San Sergio del 300 (non chiedetemi perché la chiesa sia dedicata a Giusto però), chiamata anche “spiedo alla furlana” pare sia intaccabile alla ruggine, un inox primordiale (non me ne vogliano i cattolici ortodossi)!
Ho un certo languorino e scendo la scala dei Giganti. Mi aspetta un locale tipico di Trieste, la trattoria da Giovanni di Via San Lazzaro, é qui che si possono gustare i veri sapori di Trieste. Non é un locale da chef stellati, poco più di un buffet, ma si mangia da dio. Ogni volta che ritorno non resisto ai bolliti di carne come le “luganighe” o la “porcina”, i “kapuzi” (crauti), il (prosciutto) cotto caldo tagliato a mano, il Goulash, tutto davanti ad un bicchiere di vino rosso Terrano dal gusto forte.
Il titolare, Bruno Vesnaver, è un mago del taglio a mano a Trieste, prepara panini e “rodoleti” (degli assaggi di salumi) muovendo il coltello come fosse un maestro Ninja. Ps se ordinate uno spritz non aspettatevi l’Aperol o il frizzantino, qui é rigorosamente acqua e vino !
Quattro passi per digerire ed il caffé lo prendo in Via Battisti al Caffé San Marco, centenario ritrovo di studenti e letterati tra i quali Svevo, Joyce e Saba, tra stucchi e mobili in legno scuro l’atmosfera é di quelle speciali, un’altro salto nel tempo, un’altra Trieste.
Esco e prendo il bus n. 6. “Si va al bagno”, così dicono i triestini intendendo che hanno l’intenzione di andare al mare, questa é la linea principale che porta a Barcola e Grignano, da primavera ad estate si sale in infradito e con la brandina portatile, via verso qualche ora di sole sul lungomare. Scendo al “bivio”, toponimo del punto in cui la strada si dirama tra quella che conduce al Castello di Miramare e la Strada Costiera.
Quattro passi e davanti a me appare quella che era la dimora Massimiliano d’Austria e di sua moglie Carlotta. Tanto sfortunata la loro storia d’amore, ucciso lui in Messico, impazzita lei tra Trieste e Vienna, tanto bello é questo luogo che ci hanno lasciato. Il Castello di Miramare, tutto in pietra bianca, si staglia su di uno sperone roccioso in fronte al Golfo di Trieste, circondato da un grande parco é un luogo di pura magia. Seppure mi tenga a distanza dalla sfinge egizia che fa la guardia al molo del porticciolo, si dica che porti un po’ di sfortuna ;), faccio un bel giro, prima nelle stanze principesche della dimora, poi nei giardini all’esterno, bellezza pura, armonia, insomma un luogo perfetto.
Ormai é quasi sera e scelgo di salire sull’Altipiano, proprio sopra al castello di Miramare c’è un piccolo paesino che si chiama Contovello o Contovel (in sloveno), era un piccolo centro di pescatori posizionato in alto per proteggersi meglio dagli aggressori. Sulla strada c’è una frasca appesa alla parete, sono fortunata, l’”osmica” Stoka é aperta. Si tratta di locali con apertura stagionale, anzi settimanale a dir la verità, pochi giorni all’anno per vendere i prodotti alimentari di propria produzione, il ramoscello con le foglie é l’insegna, quando é secco, l’”osmica” è chiusa o prossima. Un piatto di salumi e del formaggio di casa sul tagliere, un bicchiere di vino (bianco questa volta), pesche con il vino o ricotta con il miele, un cortile affacciato sul Golfo e sul Castello di Miramare, mentre il sole si tuffa nel mare di questa città. C’è di meglio?
E’ buio, ora di lasciare Trieste. Con l’auto passo sulle rive di nuovo davanti a Piazza dell’Unità, illuminata da cento luci blu, é l’immagine da cartolina che mi porto via, lascio a Trieste un pezzetto di cuore, magari per tornare a prendermelo qualche volta.
Perché trascorrere un giorno a Trieste ? Perché é perfetta per una visita breve, non troppo grande, non troppo piccola, ordinata ed accogliente, perché é un crocevia di culture, religioni, lingue, il cuore dell’Europa, confine e punto d’incontro tra l’est e l’ovest, perché si mangia e si beve bene, perché il motto dei triestini é “Viva la e po’ bon” (ossia sempre allegri e mai tristi) e perché, se siete fortunati, sperimenterete la Bora, cosa non da poco 😉
Note utili
Si può alloggiare in un ottimo Bed & Breakfast a Trieste dal nome Sotto il Volto, si trova poco fuori città ed è adatto alle famiglie con bambini. Questo post dedicato a Trieste ha partecipato al concorso per blogger di HRS “Battaglia delle Nazioni”
Buongiorno Fabio! Vi leggo spesso e oggi vi consulto per programmare una gita. Trieste sarà la meta di un weekend con i bimbi (1 e 4 anni) hai mica un hotel da consigliare? Grazie! Carlotta.